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a cura di Giovanni Ronca con la collaborazione di Paolo Bussi, Davide Donati e Gabriele Guggiola
Coordinamento di Roberto Bagnoli
Realizzato in collaborazione con il "Corriere della Sera" e con il sostegno di Lazard
L'Indice della libertà economica dell'Unione Europea giunge alla sua seconda edizione. Quest'anno l'analisi si arricchisce di un nuovo capitolo: la valutazione della libertà economica di cinque degli otto paesi dell'Europa centro-orientale ammessi alle negoziazioni per l'adesione all'Unione Europea nel 2004 (i cosiddetti PECO).
"The process has become irreversible and the benefits of enlargement are already visible", si legge sulla brochure ufficiale sull'allargamento dell'Unione. Siamo convinti che ciò sia vero, benché altrettanto visibili potrebbero essere i costi economici e sociali dell'integrazione, almeno nel breve periodo. La domanda che ci si pone, dunque, è la seguente: come impatterebbe oggi l'ingresso di nuovi membri sulla condizione di libertà economica del resto dell'UE? Il Rapporto 2002 ha cercato di fornire qualche indicazione a tal proposito.
Prima di affrontare la discussione dei risultati, è opportuno ripercorrere brevemente la ratio e i fondamenti della tipologia di analisi qui proposta.
La libertà economica può genericamente definirsi come l'assenza di ogni tipo di coercizione o vincolo alla produzione, alla distribuzione o al consumo di beni e servizi al di là dei limiti necessari agli individui per preservare la libertà stessa.
L'idea di definire e misurare la libertà economica di un paese è nata poco più di undici anni fa nel corso di una serie di conferenze organizzate, tra gli altri, dal premio Nobel per l'Economia Milton Friedman. Il ciclo di conferenze porta alla nascita dell'Economic Freedom Network - una rete di più di 50 istituti di ricerca di tutto il mondo di cui il Centro Einaudi è partner per l'Italia dal 1997 - e alla pubblicazione periodica del Report intitolato Economic Freedom of the World.
Nel Report la misurazione della libertà economica viene realizzata attraverso l'elaborazione di un indice sintetico mondiale - l'Economic Freedom Index - basato su una serie di parametri che, opportunamente ponderati, generano una classifica completa e accurata per più di 120 paesi del mondo. Benché lo schema logico applicato si sia rivelato generalmente valido, l'Indice mondiale ha dimostrato di avere in sé alcuni limiti. La necessità di mettere a confronto un gran numero di paesi a volte molto eterogenei tra loro ha, infatti, costretto i ricercatori a utilizzare una serie di parametri con un alto grado di approssimazione, adatti sì a definire a grandi linee la situazione della libertà economica a livello mondiale, ma inadatti a cogliere le sfumature tra paesi apparentemente simili se collocati nel contesto globale (è il caso dell'Unione Europea).
A ciò si aggiunge la difficoltà di reperire per ogni paese dati sufficientemente recenti per poter utilizzare il Report come strumento di osservazione "in tempo reale" dell'evoluzione della libertà economica nei singoli paesi. In ultimo, l'Economic Freedom Network non ha mai considerato l'Unione Europea come un'unica entità economica e conseguentemente non ha mai elaborato un indice di libertà dell'UE.
Per ovviare alla bassa "sensibilità" e agli altri limiti impliciti dell'Indice mondiale, il Centro Einaudi e il Corriere della Sera, con la co-sponsorizzazione di Lazard, hanno deciso di applicare lo schema metodologico sviluppato negli anni di collaborazione con l'Economic Freedom Network ai 15 paesi membri dell'Unione Europea ovvero ad un cluster di nazioni economicamente e politicamente affini, variando opportunamente i parametri originariamente utilizzati nel computo dell'Indice mondiale, dando ad essi la "sensibilità" sufficiente per cogliere le sfumature che distinguono i paesi sviluppati e adattandoli al contesto economico dell'UE e alle caratteristiche intrinseche del Mercato Unico Europeo. È nata così la prima edizione dell'Indice, il Rapporto 2001, presentato a Milano nel febbraio del 2001.
Le prospettive di allargamento, che dovrebbero portare già alla fine del 2002 la Commissione Europea a proporre l'ammissione di dieci nuovi membri entro il 2004, hanno spinto il Centro Einaudi e il Corriere della Sera, con la co-sponsorizzazione di Lazard, ad allargare l'analisi ad alcuni dei PECO, ovvero dei paesi dell'Europa centro-orientale candidati all'adesione. Si è dunque calcolato l'Indice anche per Estonia, Polonia, Repubblica Ceca, Slovenia e Ungheria (raggruppati come "PECO-5") ovvero ai cinque paesi dell'Europa centro-orientale che la Commissione Europea, già nel 1997, aveva dichiarato idonei - alla lista si aggiungeva Cipro - a cominciare fin da subito le negoziazioni per l'ammissione all'UE e ai quali il Consiglio di Berlino ha aggiunto nel 1999 Lettonia e Lituania (parzialmente valutate nel Rapporto 2002), Malta e Slovacchia.
Tutti i materiali del Rapporto 2002 (1.41 Mb)
Si ritiene che i risultati ottenuti diano adito a numerose riflessioni sul piano sia economico, sia socio-politico. Le interpretazioni - come si è già sottolineato nella passata edizione del Rapporto - sono tante e spesso assolutamente non univoche. Si è dunque scelto di non addentrarvisi più del necessario, lasciando al lettore la libera e soggettiva interpretazione delle elaborazioni proposte, ribadendo, ancora una volta, la seguente raccomandazione: l'Indice in sé analizza soltanto alcuni aspetti del "vivere economico" dei paesi considerati e, dunque, se ne suggerisce un utilizzo accorto, senza eccedere in forzature interpretative e usi strumentali.