2001

Economic Freedom of the World

2001 Annual Report

Categoria/Category
Indici della libertà economica / Economic Freedom Index

Abstract

Presentiamo una sintesi dei risultati della quinta edizione del Rapporto Economic Freedom of the World, ideato dal Nobel Milton Friedman e realizzato dall’istituto canadese di ricerca Fraser in collaborazione con una rete di più di 50 centri studi di tutto il mondo (per l’Italia, il Centro Einaudi).

Il Rapporto analizza e classifica 123 paesi del mondo costruendo un indice di libertà economica formato da 21 componenti raggruppabili in sette aree: le dimensioni dello stato, la struttura dell’economia, la politica monetaria e la stabilità dei prezzi, la libertà di circolazione della moneta, la struttura legale e la tutela dei diritti di proprietà, la libertà del commercio con l’estero, lo sviluppo dei mercati finanziari.

 

La novità di quest’anno sta in un ulteriore arricchimento dell’analisi relativa a 58 paesi per i quali l’indice di libertà economica è stato integrato da altre 24 componenti. È stato deciso, infatti, di ridurre l’ampiezza dell’analisi, focalizzandosi su un numero più limitato di paesi per i quali sono disponibili dati meno generici e più oggettivi.

 

Alla guida della classifica dei 58 paesi analizzati si confermano Hong Kong e Singapore, quasi a pari merito; seguono gli Stati Uniti, la Nuova Zelanda, il Regno Unito, l’Irlanda e il Canada; l’Italia, che tra i paesi dell’UE fa meglio solo della Grecia, si attesta al 38° posto; ultima la Russia.

 

Il Rapporto, presentato a Washington il 19 aprile, individua una correlazione significativa tra libertà economica e ricchezza di un paese. La tesi è semplice: gli individui raggiungono standard di vita migliori e un reddito pro capite adeguato in minor tempo quando vivono in un’economia più libera. Non solo: "la gente che risiede in un paese tra quelli economicamente più liberi – ci dice James Gwartney, professore di economia nell’Università della Florida e autore del Rapporto insieme a Robert Lawson – vive mediamente vent’anni più a lungo di un abitante di un paese di quelli meno liberi".

 

Per quanto riguarda i paesi dell’Europa occidentale, Gwartney sottolinea come la loro posizione nello scenario mondiale sia mediamente buona. Uniche note dolenti sembrano essere l’eccessivo "peso" dell’economia pubblica e la rigidità del mercato del lavoro.

 

"In teoria – commenta Gwartney – il rapporto 'ideale' tra spesa pubblica e Pil di un paese dovrebbe essere vicino al 10%. Ad eccezione dell’Irlanda, i paesi europei sono di gran lunga al di sopra di tale livello". Gli autori del Rapporto sostengono che l’aumento della spesa pubblica sul Pil riduce sensibilmente il tasso di crescita dell’economia nel tempo: "la Danimarca, ad esempio, ha aumentato il suo rapporto spesa pubblica/Pil dal 25% del 1960 al 55% del 1998: se i danesi avessero mantenuto quel rapporto invariato, oggi potrebbero avere un reddito pro capite superiore del 40% rispetto all’attuale".

 

Sul versante del mercato del lavoro l’iper-regolamentazione europea sarebbe, secondo il Rapporto, alla base dell’alto tasso di disoccupazione: "finché importanti riforme non saranno intraprese – dice Gwartney – l’Europa continuerà ad assistere ad una crescita economica assai limitata e ad una elevata disoccupazione: creare un ambiente favorevole per il progresso è un po’ come uno sport di squadra, debolezze in una o due aree di gioco possono minare il risultato finale".

 

Infine, abbiamo chiesto a Gwartney cosa pensasse dell’Italia. Il suo commento è stato molto severo: "i problemi del vostro paese sono ancora più seri di quelli del resto dell’UE e l’eccessiva e troppo costosa regolamentazione delle attività economiche, in particolare del mercato del lavoro, è la questione senz’altro più rilevante".

 

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