Abstract
Sovrapponendo i contributi di Leoni come delle
slides, appare il «minimo comune divisore» della metodologia. Già negli anni giovanili si riscontrano la ricerca della scientificità e dell’avalutatività. Leoni poi fa ampio uso dell’analisi lessicale empirica «lessicografica» in contrasto con le visioni nominalistiche (alla Jellinek) e convenzionaliste (alla Weldon). La metodologia diventa argomento scientifico a sé intorno al 1949-1950: comincia a profilarsi il «metodo unico» delle «scienze dell’uomo vivente in società». Qui l’autore, influenzato dalla Scuola Austriaca, analizza il rapporto mezzi-fini e tenta di superare l’
homo economicus e l’
homo politicus, ipotizzando l’
homo rationalis (con razionalità e informazione imperfetta). Dibatte con Vito e Strauss sostenendo la possibilità di studiare i valori con una scienza che per questo non cessi di essere neutrale. Critica l’applicazione del fisicismo e della matematica alle scienze sociali, in quanto l’osservazione di una realtà data mediante l’apparato sensorio è valida solo per le scienze naturali. Coniuga l’individualismo metodologico con la sociologia comprendente e sviluppa una «teoria empirica» che, cominciando con preliminari osservazioni empiriche, studia l’azione umana attraverso l’interpretazione analitica degli scopi individuali. Un’impostazione sicuramente induttivista, che a volte però difende il deduttivismo. Per Leoni, dunque, l’induttivismo potrebbe forse rappresentare la ricerca della scientificità, ma di sicuro il suo è un approccio metodologico negativo, che si preoccupa soprattutto di ciò che non è utile fare, da quali errori e tentazioni è meglio fuggire.
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