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Nel contesto dell’interminabile conflitto in Medio Oriente tra israeliani e palestinesi, le «crisi» si susseguono. Forse bisognerebbe numerarle, come le perturbazioni atlantiche. La n. 1 del 2009 è la guerra israeliana a Gaza, caratterizzata dall’impiego di una forza distruttiva davvero spropositata rispetto ai motivi dichiarati della guerra stessa. Essa ha subito provocato, tra l’altro, una forte tensione tra Israele e Turchia, in uno scacchiere strategico sempre più delicato per via del petrolio del Caspio. Ma nel 2009 potrebbe verificarsi una crisi di ancor più vasta portata politica perché è ben possibile che Israele e Stati Uniti siano ormai in rotta di collisione, sebbene ciò non significhi di necessità un urto violento e clamoroso. Sarà però un problema assai più grave di una normale divergenza di opinioni e interessi su specifiche questioni. Il contrasto, se c’è, riguarda un possibile riassetto del Medio Oriente, reso necessario dal declino della potenza americana e che comprenderà, tra l’altro, un’ipotesi di pace arabo-israeliana e un «dialogo» politico tra Stati Uniti e Iran. Israele cercherà in vario modo di opporsi perché tutto ciò implica la fine della sua incontrastata supremazia in Medio Oriente, e forse il suo declino politico e strategico. Se Israele definirà questa situazione in termini di «minaccia esistenziale», le sue reazioni potrebbero essere imprevedibili e molto problematiche. Comunque, negli Stati Uniti gli ambienti filo-israeliani, e in particolare le organizzazioni della cosiddetta «lobby israeliana», saranno in contrasto diretto con l’amministrazione Obama.