Abstract
Avendo come obiettivo una rivisitazione del filone americano del liberalismo pragmatico, l’autore parte da una critica della teoria liberale classica, in cui ravvisa un eccesso di astrazione formale e procedurale. Il problema vero che si pone a chi deve compiere scelte di rilevanza pubblica è quello del rapporto fra teoria e pratica: ossia di analizzare, valutare, eventualmente correggere modelli organizzati di azione umana, tipi di pratiche, alla luce di valori liberali. È proprio a questa esigenza che il liberalismo pragmatico vuole rispondere, proponendo l’applicazione di principi liberali alle varie forme di azione sociale organizzata, ai modi collettivi di «fare le cose» che emergono e si affermano all’interno della società liberale. Questo implica un ruolo dello stato più attivo e differenziato di quello immaginato dai liberali classici, nonché l’applicazione del fondamentale principio liberale della rule of law non solo allo stato ma anche alle organizzazioni private. Per il liberalismo pragmatico, la legittimità del regime pluralista dipende da un’interpretazione evolutiva della teoria liberale classica in sé. La nuda teoria del liberalismo classico parla soltanto dei diritti degli individui contro lo stato e della formazione di un ordine spontaneo attraverso il contratto e il mercato. Non dice dunque abbastanza della natura economica e politica dell’azione collettiva disciplinata, dei diritti degli individui contro gli abusi del potere privato, del ruolo dello stato nell’assicurare l’autonomia dell’associazione pluralista e nel garantire che le funzioni pubbliche vitali di tali associazioni vengano assolte efficacemente, coscienziosamente e riflessivamente. Questo non significa certo che i liberali pragmatici amino più di altri tipi di liberali l’idea di uno stato intrusivo e invadente: semplicemente, sostengono che la politica liberale è un processo di indagine continua rivolta ai caratteri sostanziali delle specifiche tecnologie, attività e processi che si affermano all’interno della struttura delle norme liberali. Questo amplia l’ambito delle politiche pubbliche e consente che esse siano differenziate, rinunciando all’astratta pretesa di ridurre ogni forma di attività alle stesse «leggi del mercato», e riconoscendo le diverse origini, storiche e istituzionali, tanto delle varie attività economiche quanto delle diverse organizzazioni e associazioni.
The author’s aim is to review the American school of pragmatic liberalism. He starts with a critique of the theory of classic liberalism, detecting excessive formal and procedural abstractions therein. The real problem facing anyone taking decisions of public importance is the relationship between theory and practice: he has to analyse, evaluate and, if necessary, correct organised patterns of human action and practices in the light of liberal values. This is the target of pragmatic liberalism, which suggests that liberal principles be applied to the various forms of organised social action and the collective ways of ‘doing things’ that emerge and assert themselves within liberal society. This implies that the state must have a more active role, differentiated from that imagined by liberals of the classic school. What is more, the fundamental liberal principle of the rule of law must be applied not only to the state but also to private organisations. For pragmatic liberalism, the legitimacy of the pluralist regime depends on an evolving interpretation of liberal political theory itself. The bare theory of classic liberalism tells us only of the rights of individuals against the state and of the formation of spontaneous order through contract and the market. It does not tell us, then, enough about the political and economic nature of disciplined collective action, of the rights of individuals against abuses of private power, of the role of the state in securing the autonomy of the pluralist association and in guaranteeing that the vital public functions of these associations are efficiently, conscientiously and reflectively performed. This, of course, does not mean that pragmatic liberals like the idea of an active, intrusive state more than other types of liberals. They merely argue that liberal policy is an ongoing process of inquiry into the essential features of the specific technologies, activities and processes which assert themselves within the framework of liberal norms. The scope of public policies is thus extended. By abandoning the abstract claim that every form of activity is limited by the same ‘market laws’ and acknowledging the different historical and institutional origins of the various economic activities and different organisations and associations, public policies themselves may also be differentiated.