Abstract
L’autore sostiene che negli anni Ottanta esisteva un approccio europeo alla sicurezza che contribuì significativamente a porre fine alla corsa agli armamenti e alla Guerra fredda. La questione ora è se esista una specifica prospettiva europea riguardo alle attuali urgenti questioni della sicurezza – il terrorismo e la proliferazione delle armi di distruzione di massa, in particolare quelle nucleari. Evangelista ritiene che effettivamente vi sia un approccio europeo nell’affrontare tali questioni, ancora più evidente se confrontato alla politica degli Stati Uniti e della Russia. I governi russo e statunitense si sono proposti di combattere il terrorismo dichiarandogli guerra, attaccando l’Afghanistan, l’Iraq e la Cecenia. Hanno limitato la libertà dei loro cittadini in nome della sicurezza, come fanno molti paesi in tempo di guerra. Queste politiche non hanno ottenuto un grande successo. È diventato un luogo comune dire che l’Europa affronta il terrorismo in modo diverso, attraverso il rafforzamento della legalità e la collaborazione tra i servizi di intelligence, piuttosto che con la guerra. Questa risposta, per quanto corretta, non fa altro che aprire ulteriori questioni. In Europa rafforzare le misure legislative contro i sospettati di attività terroristiche apre un dibattito sull’immigrazione e sulle relative politiche. Il successo dell’Europa nella lotta al terrorismo, conclude, dipenderà in gran parte da come affronterà il rapporto con gli immigrati, un campo nel quale gli europei potrebbero imparare qualcosa da Stati Uniti e Russia.
The author argues that in the 1980s a European approach to security existed and that it contributed significantly to the ending of the arms race and the Cold War. The question now is whether there exists a specific European perspective for the urgent security issues of today: namely, terrorism and the proliferation of weapons of mass destruction, nuclear weapons in particular. Evangelista believes that a European approach effectively exists to these questions, all the more evident if compared with the policies of the United States and Russia, whose governments have set themselves the task of fighting terrorism by declaring war and attacking Afghanistan, Iraq and Chechnya. As many countries do in wartime, they have limited the freedom of their citizens for the sake of security, but their policies have failed to achieve any great success. It has become a commonplace to say that Europe tackles terrorism differently, preferring to strengthen legality and collaboration between intelligence services than to wage war. Albeit correct, such a response ultimately opens up new issues. In Europe, the strengthening of legislative measures against those suspected of terrorist activities triggers debate about immigration and relative policies. The author concludes that Europe’s success or otherwise in the fight against terrorism will depend largely on how it handles its relationship with immigrants, a field in which Europeans themselves may have something to learn from the United States and Russia.