Abstract
Il saggio ricostruisce le alterne vicende dei rapporti tra l’Italia e la Repubblica Popolare Cinese, dagli anni Cinquanta fino ai giorni nostri. Viene mostrato, in particolare, come, dopo aver toccato il punto culminante nel biennio immediatamente successivo alla tragedia di piazza Tien Anmen, quando l’Italia, più di ogni altro paese occidentale, si adoperò per spezzare l’isolamento internazionale della Cina, le relazioni tra i due paesi abbiano conosciuto una lunga battuta d’arresto. La ragione di ciò va ricercata, oltre che nella crisi politica che a partire dal 1992 investì il nostro paese, nei limiti strutturali della politica economica estera italiana e nella mancanza di una coerente strategia volta alla promozione del «sistema Italia» in una regione del mondo che offriva immense opportunità, ma nei confronti della quale l’
establishment politico-economico italiano manifestava, salvo rare eccezioni, una sostanziale disattenzione. Disattenzione che poi, sotto il governo Berlusconi, ha lasciato il posto ad atteggiamenti allarmistici e a periodiche sortite protezionistiche. Un estremo tentativo di riguadagnare il terreno perduto dall’Italia nei rapporti con la Cina è stato compiuto da Prodi, il quale, pochi mesi dopo essere tornato a Palazzo Chigi, si è recato in Cina a capo di quella che è stata enfaticamente definita «la più grande missione istituzionale e d’affari mai organizzata dall’Italia». Alla luce della caduta prematura del governo Prodi, ma soprattutto dei precedenti storici, che si sostanziano in una sequela pressoché ininterrotta di ritardi, errori, omissioni, velleitarismi, viaggi mordi e fuggi e occasioni sprecate, pare lecito, tuttavia, nutrire seri dubbi riguardo alla capacità dell’Italia di dare un seguito concreto e duraturo alle solenni dichiarazioni d’intenti e di determinare un effettivo salto di qualità nelle relazioni politiche ed economiche tra Roma e Pechino.
The essay reconstructs the alternating relations between Italy and the People’s Republic of China. It shows, in particular, how after reaching a climax in the two years following the Tien Anmen Square tragedy, when Italy, more than any other western country, set about breaking China’s international isolation, relations between the two countries have long been at a standstill. The reason for this is to be sought not only in the political crisis that hit Italy in 1992, but also in the structural limitations of Italian foreign economic policy and the lack of a consistent strategy to promote the ‘Italy system’ in a part of the world that offered immense opportunities but towards which, save for rare exceptions, the Italian political and economic establishment showed substantial inattention. Under the Berlusconi government, this inattention was replaced by alarmist stances and periodic protectionist outbursts. An extreme attempt to regain lost ground was made by Prodi who, a few months after returning to Palazzo Chigi, travelled to China at the head of what was emphatically defined as ‘the greatest institutional and business mission ever organised by Italy’. In the light of the premature fall of the Prodi government, but above all of historical precedents – delays, errors, omissions, wishful thinking, hasty journeys, lost opportunities – it seems reasonable, however, to doubt Italy’s capacity to make a concrete and lasting follow-up to its solemn declarations of intent and determine an effective improvement in political and economic relations between Rome and Beijing.